sabato 18 luglio 2015

Il profumo del frumento



  Il profumo del frumento appena tagliato.
 In una limpida alba di giugno di tanti anni fa, nella campagna di un piccolo borgo che costeggia l’argine sinistro del fiume Po, due ragazzini poco vestiti, pantaloncini corti di tela e canottiera consumata, stavano seduti sul bordo  dell’aia davanti a casa loro.
La casa. Un grande fabbricato in mattoni rossi, che si intravvedevano da parti dell’intonaco qua e là staccato, era composto da tre stabili distinti: l’abitazione del fittavolo e del bovaro, una grande stalla con animali e un pollaio. Più staccati, un forno per cuocere il pane, il pozzo con carrucola, catena e secchio in ferro che serviva l’acqua per gli abitanti e per abbeverare gli animali e l’aia per essiccare il frumento.
 I due giovani erano fratelli e facevano parte di una famiglia più ampia. mamma, papà, nonna, uno zio del padre che accudiva alcune pecore e sua moglie che masticava tabacco. Altri due fratelli più grandi, nati prima della seconda guerra e “maturi” per il lavoro nei campi che svolgevano insieme ai genitori.
La famiglia del bovaro aveva una decina figli, praticamente uno ogni anno o quasi, tre di loro, due femmine e un maschio, avevano più o meno la stessa giovane età dei due e con loro ne condividevano i giochi.

Il sole non era ancora spuntato all’orizzonte e il cielo era di un grigio perla acceso con sfumature di rosa che ne annunciavano il sorgere. Si sentiva il frignio delle cicale tra il verde cupo dei rami e gli uccelli cantare al nuovo giorno.  Quello era un giorno speciale della vita campestre, un appuntamento al quale non si poteva mancare. Quella corte si stava, pian piano, popolando di gente. Dalla strada accanto all’aia si poteva scorgere qualche contadina che avanzava lesta in bicicletta e teneva, dentro alla sporta di paglia intrecciata, una falce a mano. Anche altri operai comparivano sempre più numerosi con su le spalle il ferro a falce e tutti vi giungevano e abbastanza freneticamente preparavano i loro attrezzi di lavoro.
I due ragazzini stavano seduti sul bordo dell’aia e arrabattavano faticosamente per indossare dei sandali. Erano stati fatti alzare dal letto bruscamente e stavano lì, mezzo addormentati, intenti a mettersi ai piedi questi strani oggetti. Oggi i calzari sarebbero stati indispensabili e la mamma era stata categorica: “bisogna indossarli”.  Gli altri giorni si poteva camminare scalzi da mattina a sera e con il numeroso gruppo di amici del borgo si faceva a gara a chi alzava più polvere strisciando i piedi a terra lungo lo stradone che porta al paese.
I sandali sono costituiti da una suola e da due pezzi di cuoio uno dei quali porta una  piccola fibbia dal lato esterno del piede dove si infilava la striscia di cuoio forata per adattarla e stringerla al piede.  
Si poteva vedere Giuseppe , il più piccolo, intento a sistemarseli con le sue piccole manine seduto sull’aia. Un piede a terra e l’altro sul bordo dove stava seduto. Teneva il capo chino ed avvicinava il ginocchio, della gamba interessata, fino a portarlo a toccare la spalla. Nessuno poteva vedere quel visetto serio e intento a quella “prova di manualità”.  Era stato Fernando, il maggiore, a finire per primo mentre Giuseppe, di pochi anni, era ancora intento a battagliare con la fibbia che non voleva proprio adeguarsi, nonostante il suo impegno.   A chi chiedere aiuto? Avrà pensato.   Il babbo era già nei campi con gli altri due fratelli. La mamma era indaffarata a sistemare gli attrezzi di lavoro e a preparare la colazione per la famiglia. Era una donna robusta nel pieno della sua forza fisica, di carattere buono, ma altrettanto decisa a non concedere vezzi ai figli.  Lei li voleva presto indipendenti e capaci di arrangiarsi a vestirsi da soli.   Sarebbe stato inutile chiamarla per farsi aiutare “già sapeva la risposta”.   Meglio chiedere aiuto al fratello di poco più grande che era li vicino.  Mentre stava per chiedere soccorso Fernando si alzò e, spalancate le braccia, gridò al fratellino: “vieni che proviamo a correre”. “Non ce la faccio - gridò il più piccolo - mi fanno male i piedi. Mi fa male ancora il piede che mi sono ferito ieri seguendoti sulla riva del fosso per andare a caccia di rane”.  Con una risatina, che mal celava un leggero sarcasmo per le difficoltà del più piccolo, Fernando gli si avvicinò fischiettando e sistemò la fibbia, nel far questo noto due lacrimucce scende da quei piccoli occhietti neri e un pochino se ne dispiacque.
Poi i due si misero a correre. Ma ecco uscire dal fienile il cane, che legato ad una lunga catena li fece inciampare e ruzzolare tutti e due a terra. I due si guardarono in faccia e visto che non si erano  fatti male si misero a ridere e pronti in piedi e via di nuovo verso i campi dove avanzavano con passo spedito i braccianti felici del lavoro che li attendeva.

Sì!  Oggi è (era) il 24 giugno si inizia la mietitura del frumento, che la nonna non voleva mai si iniziasse di venerdì altrimenti non si sarebbe concluso.
Il sole ormai illuminava la bionda messe e riscaldava l’aria mattutina che ben presto sarebbe diventata afa. I due erano bravi ragazzini che stavano conoscendo e imparando l’arte della mietitura.
Le spighe tagliate e legate in mazzi (faje), messe nei covoni a croce in attesa del trasporto verso la cascina per trebbiarle con la grossa macchina che appariva, ogni anno, come una macchia rossa in fondo allo stradone alberato di pioppi. La aspettavamo festanti sotto l’ombra del grande frassino.
Il frumento veniva messo ad essiccare sull’aia e noi a correre a piedi nudi e fare capriole e giochi da mattina a sera.

“All’improvviso è oggi”.

Cammino tra campi di grano appena tagliato è il profumo della paglia che mi ha risvegliato quel ricordo.  
E’ stato come aprire una scatola di tesori smarriti che avevo nascosto anni fa.
Strana la vita.
Quando sei piccolo il tempo non passa mai, poi, da un giorno all’altro ti ritrovi vecchio.
Basta un attimo, un profumo, un fiore, una farfalla, una rana che svelta salta nel fosso durante una passeggiata solitaria e se Tu lo vuoi, il ricordo si presenta limpido a farti rivivere il passato.

“Beato chi ha vissuto e può avere ricordi”.
Uno di quei due si è dovuto fermare bambino a soli nove anni.    
L’altro, finita la scuola, se n’è andato dalla campagna per tornare da pensionato a risentire il profumo della paglia tagliata e del  frumento. 
                                                                                                                                  FerMala