MIETITURA.
Dal
mio diario – martedì 24 giugno del 1958.
... E’
l’alba, il sole non è ancora sorto, ma la sua luce sta scacciando il buio della
calda notte, presto apparirà infuocato all’orizzonte e sarà giorno.
Cicale
e grilli mandano i loro richiami, uniti a quelli di merli e passeri. Il gallo sbatte
le ali e con tutto il fiato che ha in corpo manda ripetuti chicchirichì. Non
c’è bisogno della sveglia del gallo per gli abitanti della fattoria. Nella casa “al cunvent” è tutto un andirivieni
di persone indaffarate. Si sentono ordini, si corre, si prendono gli attrezzi
già pronti dal giorno prima.
Oggi
inizierà la mietitura del frumento, un evento importante per tutta la comunità.
Sotto l’albero grande del frassino “frassan” alcuni uomini avevano piantato per terra “la pianta” un grosso chiodo di ferro, con il martello, hanno battuto su quel ferro, la falce fienaia “fer da sgar” per renderla più tagliente. Le donne hanno preparato: la falce “sghet”, quello dell’insegna dei comunisti, e i “balzi” per legare i fasci di spighe di frumento “le faie”.
Sotto l’albero grande del frassino “frassan” alcuni uomini avevano piantato per terra “la pianta” un grosso chiodo di ferro, con il martello, hanno battuto su quel ferro, la falce fienaia “fer da sgar” per renderla più tagliente. Le donne hanno preparato: la falce “sghet”, quello dell’insegna dei comunisti, e i “balzi” per legare i fasci di spighe di frumento “le faie”.
Ieri alcuni mietitori hanno tagliato il
frumento ai bordi del campo per permettere il passaggio dei mezzi meccanici.
Alle
quattro una gran comitiva si avvia verso il biondo campo di grano. Nella
rimessa “barchessa” adibita a ricovero degli attrezzi agricoli si procede a
scaldare, con la bombola a gas, la camera di scoppio del Landini L25 “mutor” con volano esterno. Il robusto mio fratello
maggiore Raimondo, con un forte colpo al volano, fa partire il trattore a testa
calda. Un grande fumo bianco e un intenso odor di nafta si sparge nell’aria,
lenti e sempre più veloci e ritmici scoppi del motore rompono il silenzio
mattutino. Mia sorella Ivana aggancia la segatrice meccanica “la sgadora” e insieme
al fratello raggiungono gli altri. Calata la barra falciante si inizia a tagliare
il frumento. Con una manovra combinata l’operatore che sta sulla segatrice lascia
libera una leva, tenuta dalla pressione del piede destro, poi con un largo
forcone “pizza gal” lascia a terra il contenuto di una “faia” di frumento. Mio
padre e mia madre sono insieme ai mietitori tutt’intorno al campo, appena transita
il trattore e la segatrice, si adoperano a raccogliere il mazzo di spighe e a
legarle con i balzi ricavati da un’erba lacustre “caret” che cresce sulle
sponde dei fossi, viene fatta essiccare,
intrecciata a mano e annodata all’estremità. Le “faie” così prodotte vengono,
delicatamente, allontanate per permettere il successivo passaggio “dal mutor e
d’là sgadora”.
Il
campo, a me, sembra sconfinato. Giallo e luccicante. Sono poco più alto delle
spighe. Sento l’odore della paglia appena tagliata, cammino a piedi scalzi tra
le “stoppie”. Vedo in aria le rondini che con volo radente cacciano qualche
insetto, coccinelle “buarine”. La grande
distesa di frumento è interrotta solo dalla lunga fila di pioppi “piope” dalle verdi chiome che stanno ai lati
di uno stradone, che collega la fattoria alla strada principale. L’alba è azzurrognola
e l’aria è ancona fresca. Tutto il campo brulica di gente che segue il trattore
e la segatrice, ognuno lavora con allegria e sveltezza, si fanno prove di
forza, sembra non facciano fatica ad affastellare i covoni “crusete”. Il sole è già alto, la lunga ombra dei pioppi
si è ritirata vicino alla pianta, la polvere, secca la gola. Un ragazzino “fiol”
con una sporta di paglia e due fiaschi, uno d’acqua preso alla pompa ed uno di
vino annacquato, porge, ai mietitori perché ne bevano “ un mescul parchè iè
sedià”.
Alle
sette è finito il primo turno “quart” di lavoro ci si ferma per fare colazione
“cazion” tutti mostrano gran appetito “sghissa”. Il bovaro “buar” fa abbeverare “ all’albi” i buoi e con la frusta “scùria”
aveva fatto sentire un paio di schiocchi in aria per ottenere la loro
attenzione.
I ragazzini giocano all’ombra “mussa, puli
scena baccalà, maghin, s’cianco, lipa, cut”.
Si torna
ad affilare i ferri del mestiere.
Sul campo di frumento, la domenica delle
palme, mio padre ci aveva piantato una semplice croce di legno, formata da due
bastoncini di salice, con legato un rametto d’ulivo per scongiurare la
grandine. Analoga operazione faceva mia nonna Matilde - bruciava alcune foglie
d’ulivo benedetto quando i temporali minacciavano grandine (i più pericolosi
–dicevano- provenivano dal Garda). La
mietitura non si doveva mai iniziare di venerdì, chi iniziava in quel giorno
rischiava di non finirla.
Ora
tutto il taglio si è completato, sul campo i covoni di “faie” raccolte a croce stavano
lì come guardiani silenziosi del campo, in testa un’ ulteriore fascio “al gal”
che nell’ombra della sera prendeva sembianze umane. Stavano fermi pronti per essere
caricati e portati, con carro e buoi, nel grande cortile per la trebbiatura. L’indomani alcune donne, con i figli minori, sarebbero
andate nel campo a spigolare (spigar).
…..Me ne andavo al mattino a spigolare Quando ho visto una barca
in mezzo al mare: Era una barca che andava a vapore, E alzava una bandiera
tricolore. ….“ricordi di scuola”.
Le
spigolatrici portavano un sacco di tela legato ai fianchi, curve sul terreno
prendevano le spighe cadute a terra durante la lavorazione di mietitura. Stendevano
le spighe sull’aia le battevano con apposito attrezzo: due legni legati tra di
loro da una pelle essiccata di anguilla
“varzela”. Per dividere il frumento dalla pula, lanciavano a ventaglio frumento
e pula, con una pala, contro vento. Il frumento più pesante andava lontano e la
pula restava dietro.
Ed ecco là in fondo allo stradone una grossa
macchia rossa che avanza, tutti i ragazzini saltellano felici e per vedere
meglio si arrampicano sui rami del frassino. Davanti un fumante trattore
lentamente la traina. E’ la trebbia “Orsi”
seguita dalla pressa “l’imballadora”. A
me l’imballatrice ha sempre fatto paura, con la sua ritmica ed inesorabile
bocca di coccodrillo spingeva la paglia uscita dalla trebbia con forza dentro
ad una corsia di forma rettangolare dove uno stantuffo la pressava. Ai lati due
persone che si tenevano coperti, bocca e naso, dalla polvere con un fazzoletto
legato al collo, legavano con il fil di ferro le balle di paglia "inguciar". Era compito di noi bambini attorcigliare e tirare il fil di ferro. Due operai
con due legni “angun” le portavano sul
pagliaio “balara” dove noi ragazzini correvamo sopra e ci lanciavano al volo su
cumuli di paglia.
La trebbia veniva sistemata al centro del
cortile. Il meccanismo veniva fatto funzionare da un trattore sistemato ad una
decina di metri. Il collegamento tra le pulegge avveniva attraverso una grossa
cinghia “zangion”. Dalla parte alta gli
uomini facevano entrare le “faie”, appositi setacci separavano il frumento
dalla pula e dalla paglia. Forti uomini si caricavano i sacchi di frumento ed
andavano a svuotarli sull’aia ad una ventina di metri. Il cumulo di frumento “mota”
veniva successivamente disteso al sole per la finale essiccatura. La sera era
di nuovo accumulato e coperto da un telo “tlon”. La notte si faceva la guardia
per la paura di furti. Quand’era disteso toccava a noi bambini girarlo e
rigiralo "spatzaz" con i piedi: erano giorni belli e giocosi, quanti “tuffi” sui cumuli
di frumento. La sera pieni di polvere si andava nel canale di scolo a fare il
bagno nell’acqua, a quel tempo, pulita.
Dopo
qualche giorno di sole il frumento è pronto per il granaio. Mio padre (come
l’uomo del monte) aveva affondato il braccio nel cumulo, preso una manciata e
fatto scorrere tra le dita, ne aveva schiacciato, con i denti, alcuni chicchi.
A voce alta aveva detto: “è pronto” . Il capo dei contadini prendeva una grossa
pala “palon” e riempiva lo staro, circa 25 kg. Tre stari per ogni sacco.
Caricato il sacco sulle spalle si saliva una scala fino al granaio al secondo piano.
La
sera, stanco mi sono addormento in braccio a mia madre.
Durante la guerra il grano era razionato e non lo si poteva
commerciare o trasportare liberamente.
Mi raccontava Ahtos che, mentre trasportava con biroccio “buroz” e cavallo dei sacchi di frumento fu fermato da due carabinieri i quali gli chiesero cosa trasportasse. Con molta calma e indifferenza rispose: “smenza ad paia” e non disse “frumento”, che è la stessa cosa. Le guardie non compresero e lo lasciarono passare.
Mi raccontava Ahtos che, mentre trasportava con biroccio “buroz” e cavallo dei sacchi di frumento fu fermato da due carabinieri i quali gli chiesero cosa trasportasse. Con molta calma e indifferenza rispose: “smenza ad paia” e non disse “frumento”, che è la stessa cosa. Le guardie non compresero e lo lasciarono passare.
FerMala
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