martedì 17 luglio 2012

Mietitura


MIETITURA.   
Dal mio diario – martedì 24 giugno del 1958.
... E’ l’alba, il sole non è ancora sorto, ma la sua luce sta scacciando il buio della calda notte, presto apparirà infuocato all’orizzonte e sarà giorno.
Cicale e grilli mandano i loro richiami, uniti a quelli di merli e passeri. Il gallo sbatte le ali e con tutto il fiato che ha in corpo manda ripetuti chicchirichì. Non c’è bisogno della sveglia del gallo per gli abitanti della fattoria.  Nella casa “al cunvent” è tutto un andirivieni di persone indaffarate. Si sentono ordini, si corre, si prendono gli attrezzi già pronti dal giorno prima.    
Oggi inizierà la mietitura del frumento, un evento importante per tutta la comunità.     
Sotto l’albero grande del frassino “frassan” alcuni uomini avevano piantato per terra  “la pianta” un grosso chiodo di ferro, con il martello, hanno battuto su quel ferro, la falce fienaia “fer da sgar” per renderla più tagliente. Le donne hanno preparato: la falce “sghet”, quello dell’insegna dei comunisti, e i “balzi” per legare i fasci di spighe di frumento “le faie”.
   Ieri alcuni mietitori hanno tagliato il frumento ai bordi del campo per permettere il passaggio dei mezzi meccanici.
Alle quattro una gran comitiva si avvia verso il biondo campo di grano. Nella rimessa “barchessa” adibita a ricovero degli attrezzi agricoli si procede a scaldare, con la bombola a gas, la camera di scoppio del Landini L25 “mutor”  con volano esterno. Il robusto mio fratello maggiore Raimondo, con un forte colpo al volano, fa partire il trattore a testa calda. Un grande fumo bianco e un intenso odor di nafta si sparge nell’aria, lenti e sempre più veloci e ritmici scoppi del motore rompono il silenzio mattutino. Mia sorella Ivana aggancia la segatrice meccanica “la sgadora” e insieme al fratello raggiungono gli altri.  Calata la barra falciante si inizia a tagliare il frumento. Con una manovra combinata l’operatore che sta sulla segatrice lascia libera una leva, tenuta dalla pressione del piede destro, poi con un largo forcone “pizza gal” lascia a terra il contenuto di una “faia” di frumento. Mio padre e mia madre sono insieme ai mietitori tutt’intorno al campo, appena transita il trattore e la segatrice, si adoperano a raccogliere il mazzo di spighe e a legarle con i balzi ricavati da un’erba lacustre “caret” che cresce sulle sponde dei fossi, viene  fatta essiccare, intrecciata a mano e annodata all’estremità. Le “faie” così prodotte vengono, delicatamente, allontanate per permettere il successivo passaggio “dal mutor e d’là sgadora”.
Il campo, a me, sembra sconfinato. Giallo e luccicante. Sono poco più alto delle spighe. Sento l’odore della paglia appena tagliata, cammino a piedi scalzi tra le “stoppie”. Vedo in aria le rondini che con volo radente cacciano qualche insetto, coccinelle “buarine”.  La grande distesa di frumento è interrotta solo dalla lunga fila di pioppi  “piope” dalle verdi chiome che stanno ai lati di uno stradone, che collega la fattoria  alla strada principale. L’alba è azzurrognola e l’aria è ancona fresca. Tutto il campo brulica di gente che segue il trattore e la segatrice, ognuno lavora con allegria e sveltezza, si fanno prove di forza, sembra non facciano fatica ad affastellare i covoni “crusete”.   Il sole è già alto, la lunga ombra dei pioppi si è ritirata vicino alla pianta, la polvere, secca la gola. Un ragazzino “fiol” con una sporta di paglia e due fiaschi, uno d’acqua preso alla pompa ed uno di vino annacquato, porge, ai mietitori perché ne bevano “ un mescul parchè iè sedià”.
Alle sette è finito il primo turno “quart” di lavoro ci si ferma per fare colazione “cazion” tutti mostrano gran appetito “sghissa”. Il bovaro “buar” fa abbeverare  “ all’albi” i buoi e con la frusta “scùria” aveva fatto sentire un paio di schiocchi in aria per ottenere la loro attenzione.
 I ragazzini giocano all’ombra “mussa, puli scena baccalà, maghin, s’cianco, lipa, cut”.
Si torna ad affilare i ferri del mestiere.
 Sul campo di frumento, la domenica delle palme, mio padre ci aveva piantato una semplice croce di legno, formata da due bastoncini di salice, con legato un rametto d’ulivo per scongiurare la grandine. Analoga operazione faceva mia nonna Matilde - bruciava alcune foglie d’ulivo benedetto quando i temporali minacciavano grandine (i più pericolosi –dicevano- provenivano dal Garda).  La mietitura non si doveva mai iniziare di venerdì, chi iniziava in quel giorno rischiava di non finirla.
Ora tutto il taglio si è completato, sul campo i covoni di “faie” raccolte a croce stavano lì come guardiani silenziosi del campo, in testa un’ ulteriore fascio “al gal” che nell’ombra della sera prendeva sembianze  umane. Stavano fermi pronti per essere caricati e portati, con carro e buoi, nel grande cortile per la trebbiatura.  L’indomani alcune donne, con i figli minori, sarebbero andate nel campo a spigolare (spigar).
…..Me ne andavo al mattino a spigolare Quando ho visto una barca in mezzo al mare: Era una barca che andava a vapore, E alzava una bandiera tricolore. ….“ricordi di scuola”.
Le spigolatrici portavano un sacco di tela legato ai fianchi, curve sul terreno prendevano le spighe cadute a terra durante la lavorazione di mietitura. Stendevano le spighe sull’aia le battevano con apposito attrezzo: due legni legati tra di loro da una pelle essiccata  di anguilla “varzela”. Per dividere il frumento dalla pula, lanciavano a ventaglio frumento e pula, con una pala, contro vento. Il frumento più pesante andava lontano e la pula restava dietro.
  Ed ecco là in fondo allo stradone una grossa macchia rossa che avanza, tutti i ragazzini saltellano felici e per vedere meglio si arrampicano sui rami del frassino. Davanti un fumante trattore lentamente la traina.   E’ la trebbia “Orsi” seguita dalla pressa “l’imballadora”.  A me l’imballatrice ha sempre fatto paura, con la sua ritmica ed inesorabile bocca di coccodrillo spingeva la paglia uscita dalla trebbia con forza dentro ad una corsia di forma rettangolare dove uno stantuffo la pressava. Ai lati due persone che si tenevano coperti, bocca e naso, dalla polvere con un fazzoletto legato al collo, legavano con il fil di ferro le balle di paglia "inguciar". Era compito di noi bambini attorcigliare e tirare il fil di ferro. Due operai con due  legni “angun” le portavano sul pagliaio “balara” dove noi ragazzini correvamo sopra e ci lanciavano al volo su cumuli di paglia.
 La trebbia veniva sistemata al centro del cortile. Il meccanismo veniva fatto funzionare da un trattore sistemato ad una decina di metri. Il collegamento tra le pulegge avveniva attraverso una grossa cinghia “zangion”.  Dalla parte alta gli uomini facevano entrare le “faie”, appositi setacci separavano il frumento dalla pula e dalla paglia. Forti uomini si caricavano i sacchi di frumento ed andavano a svuotarli sull’aia ad una ventina di metri. Il cumulo di frumento “mota” veniva successivamente disteso al sole per la finale essiccatura. La sera era di nuovo accumulato e coperto da un telo “tlon”. La notte si faceva la guardia per la paura di furti. Quand’era disteso toccava a noi bambini girarlo e rigiralo "spatzaz" con i piedi: erano giorni belli e giocosi, quanti “tuffi” sui cumuli di frumento. La sera pieni di polvere si andava nel canale di scolo a fare il bagno nell’acqua, a quel tempo, pulita.
Dopo qualche giorno di sole il frumento è pronto per il granaio. Mio padre (come l’uomo del monte) aveva affondato il braccio nel cumulo, preso una manciata e fatto scorrere tra le dita, ne aveva schiacciato, con i denti, alcuni chicchi. A voce alta aveva detto: “è pronto” . Il capo dei contadini prendeva una grossa pala “palon” e riempiva lo staro, circa 25 kg. Tre stari per ogni sacco. Caricato il sacco sulle spalle si saliva una scala fino al granaio  al secondo piano.
La sera, stanco mi sono addormento in braccio a mia madre.
Durante la guerra il grano era razionato e non lo si poteva commerciare o trasportare liberamente.
Mi raccontava Ahtos che, mentre trasportava con biroccio “buroz” e cavallo dei sacchi di frumento fu fermato da due carabinieri i quali gli chiesero cosa trasportasse. Con molta calma e indifferenza rispose: “smenza ad paia” e non disse “frumento”, che è la stessa cosa. Le guardie non compresero e lo lasciarono
passare.
                                                                                                                                      FerMala

Nessun commento:

Posta un commento

Rispetto il punto di vista altrui.
GRAZIE per la vostra visita. FerMala